GENOVA SENZA CAMALLI È ANCORA GENOVA?
La città dei Camalli. Una volta ci chiamavano così, pochi anni fa.
Oggi invece la Compagnia Unica vive una fase di grande travaglio, rischia di vedersi avvicinare il fallimento, mentre i suoi mille lavoratori scendono in piazza, ma Genova assiste quasi indifferente.
Certo, ci sono stati problemi di bilancio, lo spirito della Compagnia sembrava non conciliarsi troppo con il rigore dei conti. Ma il recente piano predisposto anche con l’Autorità Portuale è un passo importante (e bisognerà verificare che gli impegni presi siano rispettati).
Eppure assistiamo a uno scontro duro, sordo, da parte dei terminalisti di cui non si capiscono fino in fondo le ragioni. I terminalisti invocano pretese economiche nei confronti della Compagnia, ma nello stesso tempo paiono dimenticare che la stessa Culmv è creditrice di denaro da parte di diversi operatori che non hanno pagato o pagano in ritardo.
C’è stata – ma pare chiusa dopo un decreto del Governo, pur in attesa di norme attuative – la partita dell’autoproduzione, cioè il tentativo da parte di alcuni operatori di scaricarsi le navi da soli, senza far ricorso al lavoro dei camalli.
C’è forse da parte di qualcuno il desiderio di controllare la Compagnia o di vederla frantumata in tanti soggetti più piccoli e più facilmente gestibili.
I bilanci vanno tenuti sotto controllo, ma non sono queste le strade giuste.
Vero, il porto è un mondo a parte. Non solo perché, come si vede nelle mappe di Genova, è città nella città. Vive accanto all’altra – quella delle strade, delle piazze, di scuole e uffici – ma ha regole sue. Codici suoi.
C’è da chiedersi se l’obiettivo dello scontro sia proprio la Compagnia oppure sullo sfondo ci siano altre partite più pesanti, in cui magari vantare una sorta di credito negoziale con l’Autorità Portuale: vedi, per esempio, l’imminente conferma/sostituzione del segretario generale Marco Sanguineri. Oppure la questione dell’autoparco e della gestione dei flussi dei tir in porto, una problematica che tutti vorrebbero risolvere ma senza farsene carico. O ancora il confronto sotterraneo tra colossi per l’assegnazione degli spazi portuali, come Calata Gadda o le nuove aree – preziose come oro – che si aprirebbero con la nuova diga e i tombamenti ventilati dalla stessa Autorità Portuale.
Lo strapotere della Culmv tra i moli, che nei decenni passati tanti soffrivano, è finito. Genova non è più la città dei camalli, ma sarebbe ingiusto, e soprattutto sbagliato, dimenticarci il loro ruolo fondamentale in porto. E non solo. La Compagnia oggi è una garanzia per il lavoro portuale, per il rispetto delle regole e delle tariffe. Ancora più della dignità dell’occupazione (in un ambiente dove la sicurezza non deve mai essere dimenticata). E anche per i terminalisti la presenza di una compagnia che garantisce sempre lavoratori competenti, attrezzati e pronti per affrontare i picchi del lavoro è una risorsa indispensabile.
Ma c’è di più: la Compagnia è un valore per tutta la città. Da secoli. Non soltanto per gli oltre mille posti di lavoro e il bilancio da oltre 50 milioni. E’ anche una risorsa sociale e umana, un patrimonio di solidarietà, fierezza e indipendenza che non possiamo perdere. Dimenticarcene sarebbe ingratitudine verso chi lavora, ma sarebbe soprattutto ignorare chi siamo.