“Un albero! Nel carcere di Massa Carrara hanno un albero”.
Non è vero che le parole sono soltanto suoni, hanno sapori e colori. Quando Giuseppe dice albero all’improvviso vedi il verde delle foglie, così acceso che ti pare di toccarle. Senti sotto le dita la corteccia. Ti pare che abbia l’odore aguzzo degli abeti, quello aspro di un limone o il sapore spesso e un po’ malinconico dei cipressi. Sei dovuto venire qui, nel reparto di Alta Sicurezza del carcere di Marassi, per vedere davvero un albero.
Non ci avevi mai pensato prima: passato il muro di cinta non c’è altra vita, altro odore che di uomini. Non c’è altro colore che di cemento. Chiedi ai ragazzi che siedono con te intorno al tavolo – la redazione del giornale Ristretti Orizzonti www.ristretti.it – e ti rispondono con stupore: “No, in carcere non ci sono animali, né piante, nemmeno un filo d’erba”. Certo, ti viene da pensare, hanno altro da desiderare, quel diritto negato che non è scritto nella sentenza di condanna, ma pesa più di tutto: l’affettività. Che detta così fa meno male, ma poi significa baci, carezze, amore. Anche semplici parole. Però non ci avevi mai pensato, fuori dal cancello di metallo resta tutto, anche la natura. La compagnia di un qualsiasi essere vivente che non siano le mosche che d’estate sfuggono dalla città, passano tra le sbarre per cercare libertà nel carcere.
Del resto dove lo puoi piantare un seme in carcere? Qui è tutto corridoi, celle, pietra. Lo spazio per l’ora d’aria è un triangolo di asfalto tra il cemento.
Alberi e bestie da guardare, da ascoltare, da maledire quando abbaiano, miagolano e ronzano. Pungono. Ma poi da cercare anche solo per sentire di essere vivi. Tutti insieme.
Sarà per questo che raccontano di quell’ergastolano che uscito di cella alla fine della vita, emerso spaesato sul piazzale, per prima cosa aveva accarezzato un albero.