Ho evitato questa miniserie per mesi, snobbavo Sacha Baron Cohen: non riuscivo a dissociarlo, nel mio immaginario, dal personaggio demenziale che lo ha reso famoso, Borat. Sbagliavo. E sono felice, in un momento di penuria di titoli per me papabili, di aver ceduto alla tentazione di guardare “The spy” dopo aver letto il commento di un amico sui social.

Come in ogni serie che si rispetti, persino quelle sulla vita dei criminali più spietati, non si può non legarsi al personaggio e solidarizzare con lui (se mi avessero detto che sarebbe successo con una spia del Mossad, non ci avrei creduto, ma tant’è…accade): Sacha Baron Cohen è bravissimo a mostrarci il lato umano di Eli Cohen, reclutato dal Mossad per una missione ad alto rischio, a disegnare la parabola che lo porterà, divorato da un’ambizione senza eguali, a trasformarsi, lungo una via che non prevede ritorno, in Kamal Amin Thaabet, uomo d’affari ebreo egiziano emigrato in Argentina. Grazie ad una rete di rapporti abilmente intessuti in ambienti militari e di intelligence, Eli-Kamal riuscirà non solo ad infiltrarsi, ma anche a raggiungere altissime cariche all’interno dello stato siriano, nell’arco di anni, ed a trasmettere informazioni strategicamente vitali al governo israeliano.

Eli ha una moglie, Nadia (Hadar Ratzon Rotem, perfetta nel ruolo), che gli resterà fedele alleata sempre e nonostante tutto: nonostante le bugie che lei riconosce immediatamente e sulle quali non indaga finché non cominciano ad essere troppo invadenti, ma che comunque accetta, nonostante una doppia vita ignota che però manifesta i suoi segni inquietanti, nonostante anni di lontananza fisica, nonostante la solitudine nella quale cresce i due figli. Un amore struggente i cui piccoli gesti quotidiani, strappati e negati dalla seconda vita di lui, ritornano nelle giornate di entrambi, come riti rassicuranti di qualcosa che non si può toccare, che è dentro, nell’essenza dei personaggi. Ma lentamente, inesorabilmente, Kamal fagocita i brandelli che restano della vita di Eli, che tenta di ribellarsi, ma si lascia infine sopraffare, più che dalla ragion di stato, dall’invadenza dell’uomo incredibilmente potente che è riuscito a diventare: non può più fare a meno di essere Kamal.

Attorno, sullo sfondo, le vicende dell’eterno conflitto tra Israele e la Siria, il Golan da sempre conteso e se, come detto, non possiamo non entrare in empatia con il protagonista, d’altro canto non possiamo, sapendo poi come sarebbe andata a finire in Siria, non provare dolore per una terra bellissima da sempre al centro di terribili conflitti.
Un cast ed una regia all’altezza completano il quadro di una delle migliori serie (Netflix), a mio parere, degli ultimi anni, basata sul libro L’espion qui venait d’Israël scritto da Ben Dan e Yeshayahu Ben Porat.

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